Le storie dietro alle madri – ancora in gravidanza o con uno o più bambini piccoli – accolte nelle case Ain Karim, Sichem e Betel sono estremamente diversificate. Ogni storia individuale è una storia a parte.
L’arrivo di una gravidanza porta scompiglio in coppie fragili, o temporanee, soprattutto se il bambino non è ugualmente desiderato da entrambi. O quando la mamma è molto giovane, spesso minorenne, e l’arrivo di un bambino non era previsto. Quando le donne si allontanano da compagni che non vogliono diventare padri, quando sono sole, senza relazioni collaboranti, la casa famiglia le accoglie. La gravidanza viene portata a termine, la madre ed il figlio sostenuti nel loro nuovo percorso insieme verso l’autonomia.
“Appena ha saputo che ero incinta se ne è andato. Che vigliacco. Non ha sentito ragione. Il figlio nostro lui non lo voleva. Che me ne facessi una ragione. Poi un giorno non c’era proprio più. Se ne era andato. E così sono venuta qui.” Karina
Molte sono storie di solitudine e isolamento, di distanza dal paese di origine, di assenza di una rete di sostegno. Perdere il lavoro, perchè c’è quel bambino in arrivo, vuol dire perdere tutto: il guadagno, la casa, l’autonomia. Tutto quello che era stato conquistato scompare, da un momento all’altro. Spesso arrivano a noi inviate dalle parrocchie che le hanno accolte.
“In Ucraina lavoravo in fabbrica ma guadagnavo una miseria. Avevo un figlio piccolo e lo dovevo mantenere, lui e mia madre. I soldi non bastavano mai. L’ho lasciato a mia madre e sono venuta qui. Ho trovato lavoro in un albergo e tutto andava bene. Però appena si sono accorti che ero incinta mi hanno mandata via. Non potevo più pagare l’affitto. I soldi messi da parte sono finiti presto. Ho dormito per strada per qualche giorno ma poi ho deciso che no, non potevo finire così. Ho chiesto aiuto in una chiesa. Mi hanno detto di venire qui. Qui è nata mia figlia. Penso che presto potrò andare via con lei. Torno in Ucraina. Ricomincio da lì”. Luda
Ci sono poi le vittime della tratta di essere umani: la promessa di un lavoro stabile, l’illusione di una nuova vita si trasforma presto in vera e propria schiavitù. La gravidanza però fa scattare dei meccanismi di difesa. Come per chi viene dal mondo della prostituzione, le ragazze arrivano ad Ain Karim spesso dietro la segnalazione dei servizi sociali.
Dietro le storie di altre ospiti ci sono problemi psichiatrici forti, dipendenze da alcool, droghe e altri comportamenti devianti. Spesso c’è semplicemente il rifiuto della famiglia di appartenenza di sostenere una gravidanza giovanile non riconosciuta, non accettata.
Cerchiamo di fare del nostro meglio per sostenere le madri e i loro figli e sappiamo di essere efficaci nella maggior parte dei casi. Non tutte le donne, però, riescono a cogliere l’opportunità di cambiare, l’occasione di acquisire strumenti di crescita e libertà, la possibilità di essere sostenute e accompagnate. Dopo un breve soggiorno, se ne vanno. Accettiamo con rassegnazione, in questi casi, che a poco è valso il nostro intervento in situazioni molto deteriorate e complesse, nelle quali non è stato possibile riaccendere il desiderio e la speranza di cambiare, dove era troppo facile il ritorno nel giro dell’illegalità e grande il disorientamento.